sabato 14 marzo 2009

i figli degli altri

Ieri, al termine del Consiglio dei Ministri, il titolare del Welfare ha tenuto una lunga conferenza stampa per spiegare agli Italiani le misure adottate dal Governo per affrontare la crisi. Non le misure strettamente economico-finanziarie, ma quelle relative agli ammortizzatori e in generale all'impatto sociale dell'attuale situazione. In questa occasione, scontato il riferimento ai giovani, che in questa fase hanno ancor più difficoltà del solito a trovare un lavoro. Da qui all'università il passo è stato breve: Sacconi ha invitato i ragazzi ad accettare in questo momento un qualsiasi tipo di occupazione, sostenendo che questo sia positivo in questo momento per il mantenimento di alti livelli occupazionali e, inoltre, che ciò verrà valutato positivamente quando, al termine della crisi, i ragazzi potranno avere un "lavoro vero", coerente con il percorso di studi scelto. Il ministro ha fatto un riferimento esplicito a quelle lauree definite "poco appealing" come scienze della comunicazione, e ai relativi laureati, che non potrebbero lamentarsi di non trovare un lavoro data la facoltà scelta. Praticamente il ministro ci ha detto che coloro che sono caduti in una trappola, tesa da suoi coetanei e magari amici per avere cattedre e onori, adesso devono arrangiarsi a fare lavori anche manuali perché il mercato ha deciso che quelle lauree non interessano a nessuno. Praticamente l'esatto fallimento della funzione che io attribuisco all'università. Un giornalista ha quindi chiesto: "in un Paese in cui i figli dei notai fanno i notai e i figli dei giornalisti fanno i giornalisti, non è un po' strano chiedere ai figli degli altri di fare i fattorini?". La domanda è ben posta, direi. Che le corporazioni esistano, soprattutto in Italia, è un dato di fatto. Ma che i figli degli altri non possano godere neanche di una possibilità, data dall'università, di poter scegliere cosa fare, anche in un periodo di crisi, credo che sia il minimo che si possa chiedere a un sistema formativo degno di questo nome. Su una cosa ha ragione il ministro: molto spesso la domanda è indotta dall'offerta. In questo caso, però, l'offerta non è tanto la presenza di troppe facoltà di scienza della comunicazione, quanto la sensazione di vivere in un Paese virtuale, dove di laureati in scienza delle comunicazione ce ne vorrebbero eccome, almeno per capire il motivo per cui il "Re della Comunicazione" è anche Presidente del Consiglio. Invece si preferisce relegare questi laureati, che escono da un sistema che invece dovrebbe prendersi cura di loro e accompagnarli nel mondo del lavoro, a una categoria di serie C quando contemporaneamente ci si serve di televisioni grandifratelli nani e ballerini per governare questo Paese.
Se proprio ci deve essere qualcuno che va a fare un lavoro manuale, io ci vedrei molto bene il Ministro Sacconi e altri membri di questo Governo.